8 dicembre 2025 UNA LUNGHISSIMA ESPLOSIONE SEGNA LA FINE DI UNA STELLA, DIVORATA DA
UN BUCO NERO
Una lunghissima emissione di
raggi gamma, rilevata il 2 luglio e proseguita per giorni, sarebbe il segnale
che un buco nero abbia distrutto e fagocitato una stella ad esso vicina. Queste
le conclusioni di diversi gruppi di ricerca nel mondo, a cui hanno partecipato
anche ricercatori dell’Istituto Nazionale di Astrofisica, analizzando una mole
sterminata di dati provenienti da telescopi spaziali e da Terra. Tutto è iniziato il 2 luglio del
2025, quando il Gamma Ray Burst Monitor del Fermi Gamma Ray Space Telescope
della NASA ha scoperto un potente lampo di raggi gamma (o GRB in breve),
seguito poi dal Burst Alert Telescope del Neil Gehrels Swift Observatory della
NASA e da altri strumenti spaziali. Tuttavia l’evento, invece di durare al più
qualche minuto, come usuale in questi fenomeni, si è protratto addirittura per
alcuni giorni, rendendo GRB 250702B – questa la sua sigla ufficiale – il lampo
di raggi gamma più lungo mai osservato finora. A partire da queste prime
osservazioni, sono stati immediatamente utilizzati i più potenti telescopi
spaziali e terrestri per determinare con precisione la posizione della sorgente
di quell’eccezionale flusso di radiazioni. Il 3 luglio Swift ha dato una prima
risposta, indicando la provenienza di GRB 250702B dalla porzione di cielo
appartenente alla costellazione dello Scudo, in prossimità del piano della
nostra galassia. Rimaneva però da capire se l’evento fosse stato prodotto nella
nostra galassia o al di fuori. Immagini di alcuni dei telescopi
più grandi del pianeta, inclusi quelli degli osservatori Keck e Gemini alle
Hawaii e del VLT (Very Large Telescope) dell'Osservatorio Europeo Meridionale
(ESO) in Cile, hanno quindi confermato che GRB 250702B fosse stato prodotto in
una galassia esterna, indicazione confermata dalle immagini del telescopio
spaziale Hubble della NASA e poi del James Webb Space Telescope, che
evidenziano la natura peculiare della galassia ospite, con una banda scura di
polvere che sembra dividere in due il suo nucleo. Le indagini su questo evento
proseguono e alla fine di agosto, un team guidato dall' Università di
Birmingham nel Regno Unito ha utilizzato Webb e VLT per determinare la distanza
della galassia da dove si è originato GRB 250702B e altre sue proprietà,
calcolando che l'esplosione ha emesso l'energia equivalente a quella
irradiata da mille Soli che brillano per 10 miliardi di anni. La galassia è
così lontana che la luce di questa esplosione è stata prodotta circa 8 miliardi
di anni fa, molto prima che il nostro Sole e il nostro Sistema solare
iniziassero anche solo a formarsi. Uno studio completo della
radiazione X emessa dopo l'esplosione principale ha utilizzato i dati raccolti
da Swift, dall'Osservatorio a Raggi X Chandra della NASA e dalla missione
NuSTAR. I dati di Swift e NuSTAR hanno rivelato che ci sono brevi e intensi flare
fino a due giorni dopo la prima potente emissione. Cosa è dunque accaduto in quella
remota galassia per scatenare un’esplosione così violenta e prolungata? I dati
raccolti, da una parte, mostrano le caratteristiche di un tipico lampo di raggi
gamma, seppure insolitamente lungo, mentre altri mostrano comportamenti e
proprietà non associabili a questo tipo di eventi. In uno dei due scenari più
discussi dai lavori che provano a descrivere l’origine di GRB 250702B, un buco
nero con alcune migliaia di masse solari ha divorato una stella che gli si è
avvicinata troppo, in circa un giorno, distruggendola per effetto della sua
potentissima forza gravitazionale. Questo è ciò che gli astronomi chiamano un
evento di distruzione mareale, prodotto da un buco nero "di peso
medio" raramente osservato, con una massa di 10-100 mila volte la massa
del nostro Sole, molto maggiore di quella generata da un collasso stellare e
molto più piccola dei “mostri” presenti nelle regioni centrali delle grandi
galassie. Il team che basa i suoi risultati
sulle osservazioni nei raggi gamma presenta uno scenario diverso perché, se
questo lampo fosse come gli altri, la massa del buco nero dovrebbe essere più
simile a quella del nostro Sole. Il loro modello prevede un sistema binario
composto da un buco nero con una massa pari a circa tre volte quella del Sole
che orbita e si fonde con la stella compagna. La stella ha una massa simile a
quella del buco nero ma molto più piccola del Sole. Questo perché la sua
atmosfera di idrogeno le è stata in gran parte strappata via, fino ad esporre
il suo denso nucleo di elio, creando così un oggetto celeste che gli astronomi
chiamano stella di elio. In entrambi i casi, la materia
della stella fluisce prima verso il buco nero e si raccoglie in un vasto disco,
dal quale il gas compie il suo tuffo finale. A un certo punto di questo
processo, il sistema inizia a brillare intensamente nei raggi X. Poi, mentre il
buco nero consuma rapidamente la materia della stella, getti di raggi gamma si
propagano verso l'esterno. In particolare, il modello di fusione delle stelle
di elio fa una previsione unica. A un certo punto, il buco nero è completamente
immerso nel corpo principale della stella, nutrendosi dall'interno. L'energia
che rilascia fa esplodere la stella e alimenta una supernova. Purtroppo, questa
esplosione sarebbe avvenuta tra enormi quantità di polvere, così che nemmeno il
telescopio spaziale Webb avrebbe potuto osservare la fase di supernova. “Il contributo dell’INAF a questi studi complessi e articolati su GRB 250702B è stato importante: con Swift abbiamo trovato la posizione precisa del transiente nella banda X, permettendo così di identificare la controparte ottica e poi abbiamo contribuito alle osservazioni da Terra con i telescopi di ESO”, dice Sergio Campana, ricercatore INAF coinvolto negli studi su GRB250702B e responsabile italiano della missione Swift. |
