Finanza speculativa/criminale. Le
alternative ci sono! La finanza strumento dell’economia La finanza ha avuto in passato come
sua principale finalità quella di essere al servizio delle attività umane,
collettive e individuali: Stato, imprese, cittadini avevano nella finanza un
supporto per svolgere la propria funzione, realizzare i propri progetti
imprenditoriali o familiari/personali. Finanza ed economia si integravano a
vicenda, pur conoscendo periodicamente momenti di crisi che obbligavano a una
ridefinizione delle condizioni del rapporto, che comunque concepiva la finanza
nel ruolo di strumento a servizio dell’economia. A tagliare il cordone ombelicale tra
finanza ed economia sono stati i cambiamenti intervenuti a partire dagli anni
Ottanta del secolo scorso. Il vento del neoliberismo, dopo aver investito i
settori produttivi imponendo ristrutturazioni aziendali e avviando una
controffensiva nei confronti delle conquiste dei lavoratori e della gestione “pubblica” dell’economia,
ha imperversato nel settore finanziario. La caduta del muro di Berlino e dei
regimi comunisti nell’Est Europa ha favorito l’affermazione
delle politiche neoliberiste e ha avviato l’era
della globalizzazione capitalistica e la corsa alla totale liberalizzazione:
delle merci, delle telecomunicazioni, degli investimenti, dei servizi
finanziari. Nel momento in cui si proclamava la morte delle ideologie, si è imposta
una nuova ideologia: quella del cosiddetto “libero
mercato”, del “pensiero
unico”, con tratti tipici del fondamentalismo. La finanziarizzazione dell’economia Con la globalizzazione i flussi
finanziari hanno avuto un incremento incontrollato ed è emerso
che la maggior parte delle transazioni finanziarie erano mosse da speculatori
che puntavano a rapidi profitti attraverso spostamenti di somme ingentissime
sui mercati borsistici ufficiali e anche sui mercati della finanza ombra, dove
la mancanza di trasparenza è assoluta. Siamo entrati nell’era
della finanziarizzazione dell’economia. L’economia
finanziarizzata si è nettamente separata dalla realtà produttiva:
i più alti profitti non li realizza chi produce beni e servizi,
ma chi viaggia sulle rotte virtuali della speculazione finanziaria. Negli
ultimi anni, come ha scritto Andrea Baranes, “oltre
il 98% dei capitali che circolano nel mondo non ha nessuna finalità produttiva
e non è legato all’economia reale, ma serve unicamente
alla speculazione, ovvero a fare soldi dai soldi nel più breve
tempo possibile” (Finanza per indignati, Ponte alle Grazie, 2012, p. 37). La finanza da mezzo è assurta
a fine, ha rivendicato il proprio dominio sull’economia
e ha ispirato la propria attività al principio della speculazione, finendo con l’esserne
soggiogata: così che, se la finanza domina l’economia,
è però la speculazione a dominare la finanza. La subordinazione della politica Questo è
potuto avvenire non
per processi inevitabili, ma perché la politica ha abdicato al suo compito storico di dettare
le regole, di governare l’economia e la finanza per impedire che
si instauri la legge del più forte e che la democrazia sia svuotata di ogni sostanza. La
politica è venuta meno alla sua missione, perché è stata condizionata e “comprata”
dall’azione
delle lobby della economia e della finanza. La conseguenza è stata
che i cosiddetti “mercati”
ogni giorno danno
il voto alle scelte dei governi, mandano avvertimenti, esigono subordinazione
ai propri voleri. La politica si è subordinata all’economia e alla finanza. La democrazia
viene anestetizzata, svilita, dove le multinazionali e i poteri finanziari
dettano le linee programmatiche alla politica e spesso i ministri sono scelti
tra i dirigenti delle multinazionali e delle grandi banche. La finanza speculativa La finanza che ha tagliato il cordone
ombelicale con l’economia è la
finanza speculativa. Vi è stata in passato e continua ancora
oggi una tradizionale forma di finanza speculativa che mantiene un rapporto con
beni economici: il comprare un bene per rivenderlo in futuro a un prezzo più alto
o il vendere subito un bene prevedendo che in futuro il suo prezzo scenderà.
Nel tempo della globalizzazione
capitalistica la finanza speculativa si attua soprattutto con strumenti “derivati”,
ossia contratti finanziari il cui valore “deriva”
da quello di un
qualsiasi bene sottostante (valute, materie prime, derrate alimentari): ma c’è chi
compra o vende “derivati”
senza possedere il relativo sottostante, quindi agendo allo scoperto e
scommettendo sui prezzi di beni e materie che non possiede, in quanto c’è chi
acquista un “derivato”
sul grano o sul
petrolio senza avere alcun interesse né attività nel settore agricolo o petrolifero. Oppure c’è chi
(grandi banche, gruppi finanziari) pratica l’high
frequency trading
(commercio ad alta frequenza) attraverso computer che, applicando programmi
informatici predisposti, comprano e vendono nel mercato borsistico, attivo 24
ore su 24, azioni e obbligazioni sfruttando a proprio vantaggio le minime
oscillazioni di prezzo per realizzare alti profitti e provocando enorme
instabilità sui mercati. Più della metà delle operazioni che avvengono sui mercati finanziari sono
eseguite automaticamente da computer. La finanza speculativa di questo tipo
ha quindi come principale attività quella di fare scommesse su qualsiasi attività o
prodotto, per questo è stata paragonata a un casinò. La finanza criminale Vi è
di peggio di una
finanza speculativa, animata dall’imperativo categorico di massimizzare
i profitti nel più breve tempo possibile, ed è la finanza criminale: quella che specula sul cibo, sulla
terra che dà sopravvivenza ai poveri (land grabbing), sul
commercio delle armi; quella che finanzia la tratta degli esseri umani, il
mercato della droga, le attività delle mafie; quella che va all’assalto
dei beni comuni, dei servizi pubblici, della sanità pubblica;
quella che finanzia i conflitti armati, pratica il riciclaggio di denaro
sporco, sfrutta il lavoro e la povertà dei bambini; quella che rapina le
ricchezze del Sud del mondo, nasconde i profitti nei paradisi fiscali, si
garantisce l’impunità
per i propri comportamenti;
in sintesi, quella che sostiene che il profitto viene prima delle persone, che
per il profitto si può calpestare la vita e la dignità delle
persone, si possono umiliare i popoli che resistono ai diktat dei potenti, si
può aggredire la natura e la biosfera. La finanza predatrice e criminale
continua la missione di quelli che nella seconda metà del
Novecento erano chiamati “sicari dell’economia”:
nel senso che oggi la finanza criminale è diventata “il”
sicario dell’economia.
I sicari dell’economia erano una élite
di professionisti che avevano il compito di
trasformare la modernizzazione dei Paesi in via di sviluppo in un
continuo processo di indebitamento e di asservimento agli interessi delle
multinazionali e dei governi più potenti del mondo. I sicari dell’economia
erano contemporaneamente sicari della democrazia, della cultura e della identità
popolare, della forza di autorganizzazione e di resistenza. La logica del saccheggio La logica del saccheggio è intrinseca
alla storia dell’Occidente, in particolare negli ultimi
cinque secoli: annientati o colonizzati i popoli “altri”,
privatizzati i beni comuni, sfruttato il lavoro umano, depredata e inquinata la
natura, tarpati i sogni di cambiamento. Nel tempo della globalizzazione la
logica del saccheggio continua più che mai: saccheggio a danno di industrie sane acquistate
per essere smembrate ed eliminate in quanto concorrenti, senza rispetto per chi
lavora; saccheggio a danno dei risparmiatori che si sono affidati a banche che
privilegiano il fare finanza speculativa rispetto all’essere
banca a servizio dell’economia; saccheggio a danno dei
risparmiatori che si sono lasciati convincere a frequentare la Borsa-casinò;
saccheggio a danno degli Stati che non si adeguano ai diktat del neoliberismo;
saccheggio a danno del welfare, dei servizi sociali, degli investimenti nella
cultura. Nell’antichità
il saccheggio era
opera degli eserciti vincitori che si trasformavano in occupanti dominatori;
oggi il saccheggio è opera di gruppi di potere ricchissimi, accecati dall’avidità. Un’altra finanza: prima di tutto le persone Ci sono uomini e donne, comunità e
popoli, che resistono alla mercificazione, all’annullamento
dei valori, alla deregolamentazione finalizzata al dominio. Così facendo
contribuiscono alla realizzazione di un altro mondo, di un’altra
economia, di un’altra finanza: dove al centro stanno
la natura e le persone, la preservazione delle risorse naturali e delle
relazioni umane, i bisogni della società presente e delle generazioni future. Le nostre scelte di cittadini
possono rafforzare queste dinamiche finalizzate a rendere possibile un altro
modo di organizzare la società, l’economia,
la finanza. Raccogliendo l’idealità
dei Monti di Pietà dell’età medievale,
delle Casse di risparmio di inizio Ottocento, delle Banche popolari e delle
Casse rurali della seconda metà dell’Ottocento, negli ultimi decenni del
Novecento sono sorte forme di finanza etica: prima le MAG (mutue di auto
gestione del risparmio), poi Banca Popolare Etica. Banca Popolare Etica,
fondata nel 1999, ha la sede centrale a
Padova ed è presente con 17 filiali in Italia e con una filiale a
Bilbao in Spagna; sui territori in cui non è
presente una
filiale, è invece attivo un promotore finanziario (“banchiere
ambulante”). Le Banche popolari rimaste indenni dalla tentazione del
gigantismo e le Banche di credito cooperativo (ex Casse rurali), generalmente
costituiscono ancora una realtà finanziaria a servizio dell’economia
e dei rispettivi territori: quelle che sono rimaste fedeli alla propria storia
conservano una ragione etica, anche se non è
dichiarata nella
loro denominazione. La finanza eticamente orientata
vuole essere attenta alle conseguenze non economiche (impatto ambientale,
sociale e sui diritti umani) delle azioni economiche; richiede che il profitto
derivante dal possesso e dallo scambio di denaro sia conseguenza di attività rivolta
al bene comune e sia equamente distribuito tra tutti i soggetti che concorrono
alla sua realizzazione; propone come requisito fondamentale di tutte le
operazioni finanziarie la massima trasparenza; indirizza la gestione delle
risorse finanziarie, messe a sua disposizione, verso attività socioeconomiche
finalizzate all’utile sociale, ambientale e culturale. La finanza etica ha risposto a una
forte domanda di gruppi di cittadini che hanno preso consapevolezza che - dopo
la riforma delle banche del 1993 - in buona parte del sistema bancario hanno
prevalso scelte puramente speculative, per adeguarsi alle richieste di alti
dividendi da parte degli azionisti. Per le banche di maggiori dimensioni – secondo
Baranes – “meno
della metà dei ricavi proviene dai prestiti alla clientela, mentre la
parte più sostanziosa è realizzata grazie a operazioni finanziarie e commissioni su
prodotti spesso rischiosi e speculativi” (ivi, p. 44). La finanza etica non soltanto ha retto
bene dentro la lunga crisi di questi anni, ma ha indicato soluzioni valide per
impedire che si ripeta: regolamentare la finanza, introdurre una tassa sulle
transazioni finanziarie, separare le banche commerciali da quelle di
investimento, creare valore non soltanto per l’azionista
ma per tutti i portatori di interesse, praticare la trasparenza, ridimensionare
gli scandalosi compensi dei manager, chiudere i paradisi fiscali. Purtroppo i governi e i consigli di
amministrazione delle banche non hanno adottato alcuna di queste soluzioni.
Anzi, a livello europeo, il recente piano triennale di investimenti (“Piano
Juncker”) si propone di ottenere un incremento
delle attività finanziarie e di creare un vero mercato unico dei capitali
in tutti i 28 Stati della UE (CMU-Capital Markets Union) abbattendo gli
ultimi controlli sui movimenti di capitale e rilanciando una serie di attività finanziarie
rischiose che sono state all’origine dell’attuale
crisi. La lobby delle grandi banche internazionali ha espresso un
incondizionato plauso all’iniziativa della Commissione Europea (A.
Baranes, in “il manifesto”,
10 ottobre 2015, p. 15). Scelte e pratiche coerenti A fronte di questa pervicace e cieca
politica dei governi, succubi delle lobby, è
necessario che i
cittadini si assumano la responsabilità delle proprie scelte anche in campo finanziario. Ciascuno
deve fare la propria parte, anche se piccola. Come investire i nostri risparmi,
a quale banca affidare le nostre pur semplici e ridotte operazioni finanziarie
(accreditamento dello stipendio/pensione, pagamento delle bollette, bonifici,
bancomat, carta di credito), non possono essere scelte affidate solo al
tornaconto (tasso di interesse più alto, minori costi, vicinanza dell’agenzia…).
Bisogna informarsi sull’elenco delle cosiddette “banche
armate” e cessare ogni rapporto con loro. In
generale le grandi banche sono le meno affidabili eticamente, anche quando si
dotano di fondi etici per tacitare i clienti critici verso le loro scelte. Le alternative vanno cercate nell’ambito
della finanza etica, che svolge tutta la sua attività per
fini sociali e non speculativi: sostenere le realtà che
si impegnano nel rispetto dei diritti umani (e dei lavoratori) e nella promozione
della responsabilità sociale ed ambientale è uno strumento che può innescare un processo di cambiamento
nel sistema economico orientandolo verso il bene comune. Ercole Ongaro
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