Infezioni ospedaliere: in vigore la nuova normativa sull’uso di
disinfettanti, ma i farmaci potrebbero scarseggiare Gli esperti: “Garantire una transizione sostenibile per il sistema
sanitario, guidata dalle evidenze scientifiche” Roma, 12 settembre 2025 – Dal 31 agosto negli ospedali italiani possono essere utilizzate
esclusivamente specialità medicinali per la disinfezione (antisepsi) della cute
integra prima di una procedura sanitaria, uno dei pilastri della prevenzione
delle infezioni correlate all’assistenza (ICA). Una novità introdotta dal Decreto
direttoriale del Ministero della Salute del 29 marzo 2023 che, in
attuazione del Regolamento europeo sui biocidi (n.528/2012), ha disposto
la revoca delle autorizzazioni ai presidi medico-chirurgici, con l’obiettivo di
rafforzare la sicurezza dei pazienti. Alla vigilia della Giornata Mondiale
della Sepsi (13 settembre), una delle complicanze più gravi delle
infezioni contratte in ospedale con circa 50mila casi l’anno in Italia e
una mortalità stimata del 3-8%, alcuni tra i massimi esperti in materia
di prevenzione delle infezioni correlate all’assistenza richiamano l’attenzione
sulle implicazioni cliniche, organizzative e medico-legali del decreto e
sulle possibili criticità legate alla sua applicazione. A preoccupare
sono soprattutto la scarsa conoscenza della normativa tra gli addetti ai
lavori, l’assenza di protocolli operativi aggiornati che
assicurino una compliance rigorosa al decreto, e la ridotta
disponibilità di farmaci autorizzati per l’antisepsi, in particolare delle
soluzioni alcoliche a base di clorexidina, ampiamente utilizzate nella
pratica clinica. Il tema è di estrema attualità in Italia,
dove ogni anno tra 500 e 700mila pazienti contraggono un’infezione
durante il ricovero (pari al 5-8% del totale), con pesanti conseguenze
in termini di complicanze, aumento della mortalità, degenze più lunghe e costi
socio-sanitari crescenti. Un terzo dei casi è dovuto a batteri
resistenti agli antibiotici, che rendono ancora più complesse la gestione
clinica e le ricadute sui pazienti. “Il decreto segna un passo avanti
importante per la sicurezza dei pazienti, perché introduce tracciabilità e
controlli più rigorosi sui prodotti per l’antisepsi. La sfida ora è garantire
una transizione sostenibile per il sistema sanitario, senza mai perdere di
vista l’obiettivo primario: ridurre le infezioni e proteggere i pazienti”, commenta Massimo Sartelli, presidente della Società Italiana
Multidisciplinare per la Prevenzione delle Infezioni nelle Organizzazioni
Sanitarie (SIMPIOS). “Ogni accesso medico-chirurgico deve essere sempre
preceduto da un’accurata disinfezione della ‘porta d’ingresso’ per evitare la
contaminazione del dispositivo medico da parte della flora microbica residente
e prevenire il rischio infettivo. La clorexidina è una molecola sicura ed
efficace, cardine dell’antisepsi da decenni. In questa fase di ridotta
disponibilità di specialità medicinali a base di clorexidina al 2% in soluzione
alcolica, considerata il gold standard, le scelte cliniche devono basarsi sulle
evidenze scientifiche che dimostrano come anche le soluzioni alcoliche di
clorexidina con concentrazioni inferiori al 2% siano un’alternativa efficace e
sicura per specifici setting e profili di rischio dei pazienti”. Queste indicazioni sono contenute in un position
paper messo a punto dalla SIMPIOS per supportare i professionisti nella
scelta dell’antisettico nei tre principali ambiti clinici: il cateterismo
venoso periferico e il cateterismo venoso centrale, cioè tutte
quelle procedure che prevedono l’inserimento di cateteri nel circolo ematico
per finalità diagnostiche (es. prelievi), terapeutiche o di monitoraggio
emodinamico nei pazienti critici, e la preparazione del sito chirurgico
prima di un intervento. Secondo recenti Linee guida internazionali e
recenti metanalisi, le soluzioni alcoliche di clorexidina con concentrazioni al
2% rappresentano l’antisettico di prima scelta, ma le soluzioni alcoliche
con concentrazioni di clorexidina inferiori al 2% possono essere impiegate sia
nel cateterismo venoso periferico, dove hanno dimostrato pari efficacia
nella prevenzione delle batteriemie, sia nella disinfezione preoperatoria
della cute per gli interventi a minor rischio di infezione del sito
chirurgico. “L’obiettivo – aggiunge Sartelli - è coniugare la sicurezza del paziente con la
sostenibilità del sistema, scongiurando il rischio di mancata applicazione
della normativa o il ricorso all’importazione di prodotti da Paesi extraeuropei
meno affidabili sul piano della sicurezza e della qualità”. Circa il 15% di tutte le infezioni
correlate all’assistenza riguarda i pazienti sottoposti a interventi
chirurgici, con conseguenze cliniche ed economiche rilevanti: ricoveri
prolungati (fino a 10-14 giorni di degenza in più), deiscenze delle
ferite, necessità di ulteriori interventi e, nei casi più gravi, esiti fatali
(rischio fino a 11 volte superiore). “Gli infermieri hanno un ruolo chiave
nella prevenzione delle infezioni chirurgiche, che riguarda sia la preparazione
pre-operatoria, sia l’educazione del paziente a una maggiore cura di sé dopo la
dimissione”, dichiara Claudio Buttarelli, presidente
dell’Associazione Infermieri di Camera Operatoria (AICO). “Il decreto
segna un passaggio importante per i professionisti: richiede di aggiornare le
competenze e di seguire le buone pratiche basate sulle evidenze, in un’ottica
di responsabilità continua verso i pazienti e il sistema sanitario. Come AICO
stiamo lavorando a Linee guida rivolte agli infermieri di sala operatoria, per
orientare alla scelta degli antisettici più idonei. La clorexidina in soluzione
alcolica resta il prodotto di riferimento per l’antisepsi preoperatoria e gli
studi scientifici confermano la pari efficacia delle diverse concentrazioni,
dallo 0,5% al 2%. Obiettivo delle Linee guida è consentire l’applicazione del
decreto coniugando sicurezza, efficienza e sostenibilità, quest’ultimo requisito
imprescindibile per salvaguardare l’universalità delle cure, ma anche per
ridurre l’impatto ambientale degli interventi assistenziali”. La nuova normativa non riguarda solo la
pratica clinica, ma ha anche impatti diretti sulla responsabilità sanitaria:
le strutture sanitarie, pubbliche e private, devono dotarsi di protocolli
operativi chiari e vigilare sulla loro corretta applicazione, a tutela dei
pazienti e degli stessi professionisti. “Per ridurre l’impatto delle infezioni
correlate all’assistenza servono organizzazione, risorse e formazione
continua”, afferma Gianfranco Finzi,
presidente dell’Associazione Nazionale dei Medici delle Direzioni Ospedaliere
(ANMDO). “La Corte di Cassazione, con le sentenze n.6386/2023 e
n.4864/2021, ha precisato che, in caso di contenzioso per infezione correlata
all’assistenza, le strutture sanitarie hanno l’onere di dimostrare di aver
adottato tutte le cautele previste dalla normativa e applicato correttamente i
protocolli di prevenzione. In caso contrario, può configurarsi una
responsabilità dell’organizzazione che ricade sulle figure apicali, chiamate
pertanto a definire procedure dettagliate, minimizzando la discrezionalità del
singolo operatore e assicurando una compliance rigorosa ai protocolli. Oggi il
rischio principale è che si mantengano abitudini consolidate, nonostante il
cambiamento normativo. Per questo è indispensabile investire in formazione, a
partire dall’università, e rafforzare la cultura della prevenzione tra medici e
infermieri. È necessario un cambiamento culturale, oltre che normativo, per
garantire la sicurezza delle cure e tutelare la salute dei pazienti”. |