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Luigi Luè, zoccolaio e antimilitarista

 Coerenti col non uccidere

Il rifiuto di usare le armi nello specifico caso del servizio militare, pur se patrimonio di pochi, ha radici antiche. Il fenomeno ha ripreso a delinearsi in età contemporanea, al tempo di Napoleone, con l'introduzione della leva obbligatoria, cui ha fisiologicamente corrisposto il fenomeno della renitenza alla leva. Il renitente non è tuttavia identificabile con l'obiettore di coscienza, perché il disagio di cui la renitenza è espressione per lo più rimanda a motivazioni socioeconomiche o politiche, mentre a fondamento dell'obiezione di coscienza stanno ragioni ideali, etiche e religiose.

            Nel Novecento, sul terreno preparato dall'azione culturale dell'antimilitarismo anarchico e socialista e dalla predicazione di minoranze cristiane, l'obiezione di coscienza al servizio militare in guerra cominciò a germogliare nelle coscienze di alcuni uomini e a manifestarsi in occasione di quel crogiolo drammatico che fu la la Grande guerra.

            I casi finora emersi - ma sicuramente nei solchi della storia locale ce ne sono molti altri nascosti - ci mettono di fronte persone dalla statura morale eccezionale, mosse da ideali religiosi o laici di fratellanza universale, che hanno saputo affrontare prove difficili - carcere, vessazioni, violenze - senza smarrire la fede nel proprio ideale, sentendo che l'antico comandamento del non uccidere” è il fondamento stesso della convivenza umana. Hanno pagato di persona per le loro idee e per aver voluto testimoniarle con un agire coerente. Ai cappellani militari in congedo della regione Toscana, che nel 1965 definirono l'obiezione di coscienza al servizio militare espressione di viltà”, estranea al comandamento cristiano dell'amore, don Lorenzo Milani avrebbe risposto:

 

A chiamarli vili, non vi viene in mente che non s'è mai sentito dire che la viltà sia patrimonio di pochi, l'eroismo patrimonio dei più? Aspettate a insultarli. Domani forse scoprirete che sono dei profeti. Certo il luogo dei profeti è la prigione, ma non è bello star dalla parte di chi ce li tiene[1].

 

La scelta antimiliatarista di Luigi Luè

Al piccolo campione di testimoni radicali contro l'uso delle armi, approdati a non transigere sul rispetto della vita dell'altro, sul perseguire un ideale di fraternità universale, appartiene Luigi Luè, nato a San Colombano al Lambro (Milano) il 15 giugno 1878 da Basilio e da Giovanna (Anna) Caselli[2]. Un profilo biografico di Luigi Luè è apparso su Il Borgo Notizienel marzo 2002. Ma nuovi documenti rendono possibile una focalizzazione più precisa della sua vicenda di antimilitarista, contemporanea a quella di un altro lodigiano, suo coetaneo: lo scultore Ettore Archinti, nato a Lodi il 30 settembre 1878.

            I Luè erano una famiglia di zoccolai, di povere condizioni di vita; Luigi, dopo aver frequentato due classi della scuola elementare, interruppe la frequenza a seguito della morte della madre e cominciò a lavorare con il padre: sarebbe diventato a sua volta zoccolaio.

            Ventenne Luigi Luè fu chiamato alle armi nel Distretto Militare di Lodi. Dal Ruolo matricolare risulta che fu chiamato alle armi e giunto il 27 marzo 1899, arruolato nel 4° Reggimento Bersaglieri. Undici mesi dopo, il 22 febbraio 1900, gli fu concesso un anno di licenza straordinaria di convalescenza in seguito a rassegna di riniacuto. Rientrato in servizio, fu mandato al Deposito del Reggimento Bersaglieri a Brescia, dove concluse la ferma il 14 settembre 1901.

            Luè rievocò, molti anni dopo, in una lettera al pacifista Edmondo Marcucci, che la sua avversione alle armi era scaturita durante il servizio militare, a seguito di un episodio, da lui collocato nel Bolognese, nel contesto di uno sciopero contadino; nel maggio 1901 molte località della valle Padana furono effettivamente interessate da un'ondata di lotte nelle campagne :

 

La mia opposizione alla violenza e nata da soldato 1901 a Bologna nell'incontro frà una patuglia di noi soldati comandati da un Brigadiere e dei contadini in iscioperi, questo comandante a una 30 di questi gli insultava dicendogli: lazzaroni se non andate vi prenderemo a fucilate come nel 1898[3].

 

            Luè fu richiamato alle armi nel febbraio 1902 per due mesi. Secondo il profilo biografico redatto da Silla, egli era orientato a non presentarsi; le sollecitazioni del padre e di un parente lo convinsero a raggiungere il Distretto, seppur in ritardo di tre giorni; ma le autorità militari, inaspettatamente, passarono sotto silenzio l'infrazione; infatti non è menzionata nel Ruolo matricolare. Però da un suo diario appare che Luigi già aveva scelto di impegnarsi per il miglioramento della società e con compagni di fede cercava di organizzare operai e contadini nell'Ideale Socialista[4].

            Il 29 gennaio 1904 Luè sposò la compaesana Angioletta Pozzi, che, dopo avere appreso il mestiere di sarta a Milano, aveva aperto un piccolo laboratorio a San Colombano al Lambro. Nel 1905 era nato Bruno Mario, nel 1906 Giordano Bruno e nel 1907 Felicita, morta poco dopo la nascita[5].

 

Lispirazione tolstoiana

Un nuovo richiamo per istruzione avvenne il 19 agosto 1908: Luè non si presentò, senza giustificata causa. Entrò nel Distretto militare di Lodi il 30 agosto e fu messo alla prigione del corpo in attesa di giudizio; il 16 settembre fu condannato a due mesi di carcere militare, che iniziò a scontare nel carcere militare di Milano, ma ritornò libero già il 5 ottobre per condono della restante pena in seguito a R. D. del 27 settembre 1908; i giorni restanti li trascorse presso il Reggimento a Brescia[6].

            Non sappiamo se fu prima dell'estate, o dopo la metà ottobre, che Luè scrisse una cartolina al grande scrittore russo Leone Tolstoj. Abbiamo documentazione di questo nelle Memorie del pacifista Edmondo Marcucci, che recatosi il 31 dicembre 1937 a fare visita alla figlia di Tolstoj, Tatiana, nella sua casa a Roma, ricorda che gli fu mostrato un grosso album che raccoglieva cartoline inviate al padre da numerosissimi ammiratori europei: una di queste era di uno zoccolaio italiano che mandava nel 1908 a Tolstoj una cartolina illustrata con parole di grande entusiasmo per il Maestro e dichiarandogli il suo rifiuto al servizio militare[7]. La decisione di scrivere a Tolstoj non può che essere scaturita dalla lettura delle sue opere, che però potrebbe essere anticipata anche di qualche anno rispetto al 1908; egli infatti ebbe a dichiarare che aveva letto di Tolstoj Resurrezione, La radice del male, Che cos'è l'arte, Non posso tacere, La vita di Gesù e altri scritti. Tra fine Ottocento e inizio Novecento le idee pacifiste di Tolstoj avevano avuto infatti grande diffusione in Europa, Asia e America settentrionale, trovando vivo interesse anche presso militanti socialisti italiani[8].

 

Trasferimento a Milano e richiamo alle armi

Nel 1914 la famiglia Luè si trasferì nel quartiere di Greco a Milano, in una casa popolare: la madre Angioletta continuò a fare la sarta e Luigi lo zoccolaio. Il 25 maggio 1915, a seguito dell'entrata in guerra dell'Italia, Luè fu richiamato alle armi. Giunse in territorio dichiarato in stato di guerra il 24 luglio, inquadrato nel 63° Battaglione Fanteria di Milizia territoriale. Il Ruolo matricolare continua:

 

Messo alla prigione del corpo in attesa di giudizio, imputato di alterazione di documento di viaggio, lì 8 aprile 1916.

Condannato alla pena di mesi due di carcere militare [...]; sentenza del Tribunale Militare di Bologna in data 15 aprile 1916.

Sospeso  il procedimento penale durante lo stato di guerra a mente dell'art. 1 D. L. 31/10/1916 [da correggere in 1915],  lì 15 aprile 1916.

Tale nell'87° Battaglione Fanteria di Milizia Territoriale, lì 9 maggio 1916.

Tale nel 41° Battaglione Fanteria di Milizia Territoriale, lì 29 novembre 1916.

Tale nel Deposito del 7° Reggimento Fanteria di Milizia Territoriale, lì 20 febbraio 1917.

Dichiarato disertore perché assentatosi senza giustificato motivo dalla ritirata del 7/4/1917, lì 12 aprile 1917.

Denunziato tale al Tribunale Militare di Milano, lì 13 aprile 1917.

Sospeso procedimento penale in virtù del Decreto Luogotenenziale del 4/2/1917 n. 187 [...], lì 28 maggio 1917.

Amnistiata la condanna di cui sopra R. D. del 21/2/1919 n. 157. Declaratoria del Tribunale di Bologna in data lì 19 maggio 1919[9].

 

            La trasmissione orale familiare, arricchita dal diarioe dalle lettere a Marcucci, ha  costituito la base della narrazione delle vicende di Luè negli anni della Grande Guerra; tale narrazione, sedimentata nei testi sopra citati, si discosta però notevolmente dall'iter descritto nel Ruolo matricolare. Luè così rievocò i fatti salienti del 1917, culminati in un processo nel luglio-agosto conclusosi con la sua condanna a un anno di carcere, da aggiungersi ai sette di una precedente condanna:

 

Strappato a viva forza dalla ferriata della prigione 2 Agosto 1917 da 10-12 miei incoscienti fratelli mi portarono al 3° piano per vestire la divisa (Caserma Garibaldi Milano) mi gettai seduto a questo sciempio e tutti i Grandi Spiriti gli chiamai, da Veda  a Budda, Cristo, Euripide, dal Savonarola a Vitor Ugo a Tolstoi a Gandi, gli uficiali se ne andarono solo restarono nel gran camerone 300 o 400 soldati tutti comossi. [...] Poco dopo vengono in prigione 5 o 6 ufficiali, e mi chiedono perché io rifiuto la divisa e di andare al fronte a combattere essendo passata la mia classe da Territoriale a Mobile. Gli rispondo che stando alle mie concesioni della Vita Sociale  hai principii  dai Libri di Leone Tolstoi, la mia coscienza mi vietava di uccidere. [...] Accompagnato al C[arcere] Militare dopo pochi giorni vengo chiamato dal Signor Capitano Giudice Istruttore. Stava seduto al piccolo tavolo  e aveva un aspetto duro. Sentite, ditemi qual'è il motivo che voi vi rifiutate di portare la Divisa e di andare al Fronte. Scusi Sig. Capitano. Io mi rifiuto  di portare la Divisa e andare al Fronte, Primo: per ubbidire alla Legge di Dio: e Secondo perché per protestare contro gli uomini cattivi ho malvagi, ho incoscienti; perché dicono e scrivono che Tolstoi è un Pazzo e pur Io che modestamente condivido le sue Idee. [...] Il giudice si alzò [...] e mi disse: caro le Idee del Tolstoi sono le Nobilissime che esistano al Mondo[10].

 

A questa narrazione attualmente manca la conferma o l'integrazione dei documenti d'archivio, che potrebbe venire dal ritrovamento delle sentenze del Tribunale che riguardano Luè. Tuttavia anche il Ruolo matricolare documenta di per sé un suo atteggiamento di rifiuto nei confronti del vestire la divisa militare e partecipare alla guerra.

            Dopo la condanna dell'estate 1917 Luè sarebbe stato trasferito al Mastio di Savona e nel reclusorio di Poggio Reale (Napoli), infine liberato a seguito dell'amnistia del febbraio 1919. La sua vita continuò in coerenza con i suoi ideali nonviolenti e nel secondo dopoguerra Luè fu in relazione con i protagonisti del pacifismo e della lotta per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza al servizio militare, da Marcucci a Pietro Pinna, dall'avv. Umberto Segre al prof. Giovanni Pioli. Morì a Milano il 20 settembre 1954.

Ercole Ongaro[11]



[1]     Don Lorenzo Milani, Ai cappellani militari toscani, in Idem, Obiezione di coscienza, La Locusta, Vicenza 1965, p. 26.

[2]     Archivio Comunale, San Colombano al Lambro (Milano), Registro degli atti di nascita,1878, n. 136.

      Su Luigi Luè si trovano in internet l'albero genealogico dei Luè, un profilo biografico redatto da Bruno Silla, un articolo di Giorgio Beretta (E Luigi lo zoccolaio disse no alla guerra, in “Avvenire”, 1 agosto 2012). Alcuni altri cenni relativi al suo antimilitarismo: Bruno Segre (Costituisce reato l'obiezione di coscienza?, in “Il Foro Penale”, marzo-aprile 1949, p. 150), Edmondo Marcucci (Sotto il segno della pace. Memorie, Centro Studi per la Pace “Edmondo Marcucci”, Jesi 1983, pp. 76, 122-123), Sergio Albesano (Storia dell'obiezione di coscienza in Italia, Santi Quaranta, 1993, pp. 21-22), Amoreno Martellini (Fiori nei cannoni: nonviolenza e antimilitarismo nell'Italia del Novecento, Donzelli, Roma 2006, pp. 11-14), Renzo Dutto, a cura di, Italia Europa in 150 anni. Pace e nonviolenza, Nerosubianco edizioni, Torino 2012, p. 26. Nel profilo curato da Silla (probabile nipote di Luè) si citano frasi di un “diario”, della cui “collocazione” non viene però fornita nessuna indicazione.

      Nel Casellario Politico Centrale (ACS, Roma) non c'è un fascicolo intestato a Luigi Luè, mentre c'è quello del fratello Domenico, nato nel 1874, di professione sarto, schedato come “socialista anarcoide”, emigrato prima in Francia e poi in Spagna, dove partecipò alla guerra civile e morì a Huesca il 28 settembre 1937.

[3]     Biblioteca Comunale Planettiana, Jesi, Archivio Edmondo Marcucci, Lettera di Luigi Luè a Edmondo Marcucci, Milano 31 maggio 1951.

[4]     Bruno Silla, Luigi Luè di San Colombano al Lambro (in internet).

[5]     Nel 1910 sarebbe nata Fede Vera (“Verina”), anch'essa morta precocemente; sarebbero invece sopravvissuti Aurora (1909-1974), Vera Fede (1911-1991), Maddalena Crocifissa (1912-1997), Vito Leone (1914-2003) e Cristiano (1921-1965). Bruno Mario morì nel 1976 e Giordano Bruno nel 1997.

[6]     ASMi, Distretto di Lodi, Ruoli matricolari, a. 1878, matricola 3586, Ruolo matricolare di Luè Luigi Antonio.

[7]     Edmondo Marcucci, Sotto il segno della pace. Memorie, Centro Studi per la Pace “Edmondo Marcucci”, Jesi 1983, p. 76. La cartolina di Luè “riproduceva il quadro allegorico di Styka: Tolstoj che scrive la sua celebre protesta contro la pena di morte (Non posso tacere, 1908) circondato dalla sofferenza del suo paese”.

[8]     Si veda: Dania Mazzoni, La fortuna di Tolstoj nel movimento operaio italiano, in “Movimento operaio e socialista”, 1980, nn. 2-3, pp. 175-197.

[9]     ASMi, Distretto di Lodi, Ruoli matricolari, a. 1878, matricola 3586, Ruolo matricolare di Luè Luigi Antonio.

[10]    Biblioteca Comunale Planettiana, Jesi, Archivio Edmondo Marcucci, b. 11, 1.7/a, Lettera di Luigi Luè a Edmondo Marcucci, Milano 31 maggio 1951. Luè scrisse a Marcucci una seconda lettera il 31 agosto 1951, ancora rievocando questi fatti del 1917.

[11] Questo testo è tratto da: Ercole Ongaro, No alla Grande guerra, I libri di Emil, Bologna 2015, pp. 111-116.